È da molti anni che i chimici tentano di condurre le loro reazioni in scala sempre più piccola. Ma fino a che punto si possono ridurre le quantità dei reagenti necessari? Non sarebbe interessante provare a far avvenire una reazione solamente tra un piccolissimo numero di molecole, invece che tra l’enormità di molecole contenute anche nella più piccola quantità pesabile di sostanza? Poter rinchiudere solo le molecole necessarie per la reazione dentro un qualche tipo di nanorecipiente ci permetterebbe di studiare la reattività chimica di queste specie con un livello di dettaglio inimmaginabile. In questo caso ovviamente non si bada a spese: lo scopo è riuscire a determinare esattamente il meccanismo con cui avviene una reazione! Normalmente le reazioni condotte in maniera classica coinvolgono un gran numero di molecole, che interagiscono tra di loro e con il solvente utilizzato per far avvenire la reazione. Qualsiasi studio è quindi nient’altro che una statistica su un gran numero di molecole. Non c’è nessuna garanzia che la reattività delle molecole isolate sia la stessa della reattività delle molecole mentre sono coinvolte in una miriade di altre interazioni, anzi è molto probabile che la loro reattività sia completamente diversa.
Il problema è che riuscire a intrappolare singole molecole all’interno di un nanocontenitore è estremamente difficile, sia perché le condizioni di incapsulazione possono essere molto drastiche e difficilmente sopportabili da molte molecole ma anche perché bisogna essere sicuri che non ci siano interazioni indesiderate tra la molecola-reattore e quelle oggetto di studio.
In un recentissimo articolo pubblicato sulla rivista Angewandte Chemie, una delle più rinomate in ambito chimico, il prof. Yasujiro Murata e il suo gruppo dell’università di Kyoto hanno mostrato come sia possibile racchiudere all’interno di una molecola di fullerene un singolo atomo di azoto e una molecola di idrogeno.
Il fullerene è una delle diverse forme allotropiche nel quale può trovarsi il carbonio (ne avevamo parlato qualche tempo fa nel videodocumentario “Il mondo del Carbonio”). Una molecola di fullerene ha la forma di un pallone da calcio, in cui i vertici dei poligoni che lo compongono sono sostituiti da atomi di carbonio. Il fullerene più comune è il C-60, formato quindi da 60 atomi di carbonio, ma ne esistono molti altri di forme e dimensioni diverse.
Nel gruppo del prof. Murata erano già stati in grado di inglobare dentro il fullerene piccole molecole, come l’acqua o l’idrogeno, ma questa è la prima volta che riescono a inserire due particelle potenzialmente in grado di reagire tra di loro. Si tratta di una sfida non da poco che ha richiesto dieci anni di studio e lo sviluppo di tecniche di “chirurgia molecolare” che hanno permesso di aprire la molecola di fullerene, inserire le specie volute e poi richiudere la molecola di fullerene, un C70 in questo caso.
Per il momento non sono state osservate reazioni tra le specie inglobate, anzi tutte i dati sperimentali suggeriscono che l’atomo di azoto e la molecola di idrogeno convivano pacificamente nella cavità interna del fullerene. Questo è già qualcosa di inaspettato, dato che l’azoto atomico normalmente è estremamente reattivo.
La ricerca ovviamente è appena iniziata. In futuro gli scienziati hanno intenzione di intrappolare due atomi di azoto in modo da osservare “in diretta” la formazione di una molecola di azoto, prevedono l’incapsulamento di molecole più grandi, anche se questo richiederà un notevole sforzo sintetico, e di riuscire a ottenere radicali stabili. Un radicale è una specie chimica estremamente reattiva, il riuscire a ottenere dei radicali isolati dalle altre molecole – e quindi stabili – avrebbe una importanza fondamentale per molte applicazioni, come per lo sviluppo di computer quantistici.
Altre future applicazioni di questa ricerca riguardano invece la chimica dell’atmosfera, la chimica dei materiali e lo studio dei processi di combustione.
(con la collaborazione di Domenico Giuseppe Spanò)