È notizia di qualche giorno fa il raid con il quale gli ecoterroristi hanno distrutto un laboratorio di ricerca della Monsanto a Olmeneta, vicino Cremona. Nella notte tra il 15 e il 16 aprile 2017 i vandali hanno dato alle fiamme i laboratori con delle bombe molotov e, nonostante il pronto intervento dei Vigili del Fuoco, l’incendio non ha potuto essere domato prima della mattina di Pasqua, provocando ingenti danno alle strumentazioni e ai laboratori. È completamente andata distrutta anche la camera fredda che conteneva i semi sperimentali. La Monsanto – una delle maggiori multinazionali in ambito agroalimentare – è nota per aver inventato il Glifosato, un erbicida utilizzatissimo in Italia e all’estero per la sua scarsa tossicità per l’uomo e per l’ambiente (ne ho parlato in questo video), ma anche per la sua ricerca sugli OGM. Il laboratorio di Olmeneta è però dedicato alle coltivazioni tradizionali. Come riportato dal sito della Monsanto <<La stazione sperimentale realizza ogni anno 3.000 nuovi incroci convenzionali e svolge attività di campo in 13 località italiane, dove vengono seminate e valutate 50.000 parcelle. Le caratteristiche varietali per le quali si effettuano le attività di ricerca sono produttività, tolleranza alle malattie ed agli insetti (piralide e diabrotica), tenuta delle piante ai fenomeni di allettamento >>.
L’attentato è stato ricondotto dai carabinieri incaricati delle indagini all’estremismo verde – come d’altronde era facilmente immaginabile – che è già noto per aver devastato i laboratori della Monsanto a Lodi nel 2001 e della Syngenta nel 2002 e 2004, oltre a una marea di altre azioni minori a carico di piccoli imprenditori e commercianti (come la distruzione o il danneggiamento di macellerie, allevamenti e aziende agricole).
Una breve cronistoria della violenza verde
Tutti questi atti sono purtroppo percepiti dall’opinione pubblica e dalle forze dell’ordine come semplice vandalismo, nel migliore dei casi, e anzi spesso suscitano le simpatie dell’opinione pubblica. Per qualche strano motivo il fatto di indossare un passamontagna e distruggere e dare fuoco a centri di ricerca sembra infatti essere uno sport molto in voga in Italia, che non sembra turbare la popolazione e le forze dell’ordine più di tanto. Gli estremisti animalisti e gli ecoterroristi sono ancora considerati un po’ come dei Robin Hood o degli eroi, che sono autorizzati a compiere reati anche gravissimi in quanto impegnati in una ipotetica difesa del pianeta contro gli scienziati cattivi.
In Italia dobbiamo ricordare almeno due eventi significativi, entrambi legati alla sperimentazione animale.
Nel 2010 iniziò la protesta contro Green Hill, un allevamento di beagle per la sperimentazione animale di proprietà della Marshall, che si concluse il 28 aprile 2012 con un blitz degli animalisti nel quale furono rubati 25 cani. Successivamente l’allevamento fu sequestrato e, dopo un processo decisamente discutibile (http://www.pro-test.it/blog/2015/gennaio/15/la-verita-sul-processo-green-hill), i vertici dell’allevamento furono condannati per l’eutanasia di alcuni cani malati che però furono giudicati dai periti del tribunale guaribili.
Per avere un’idea di come i media descrivevano l’allevamento e i teppisti che lo depredarono, è interessante leggere questo articolo tratto da Il Fatto Quotidiano. Nonostante l’allevamento fosse pienamente rispettoso di tutte le leggi in materia, pulito e climatizzato (vorrei sapere quanti canili ambientalisti possono dire lo stesso), fu descritto come un lager e a proposito del furto dei beagle si disse che “questi animali non sentiranno mai più le mani e il fetido respiro del male”. Anche la politica si mosse in difesa di chi partecipò alle proteste (in particolare la Brambilla, a cui evidentemente non piaceva l’odore del pesce degli allevamenti di cui lei stessa è proprietaria).

Agli animalisti, come aspettato, non è invece successo quasi nulla: in dodici sono stati condannati in primo grado per furto aggravato dal tribunale di Brescia nel 2015 con pena sospesa. Due sono stati condannati a dieci mesi e 450 euro di multa. Gli altri dieci invece sono stati condannati a 8 mesi e una multa di 300 euro. Nulla in confronto alla gravità delle loro azioni.
Esattamente cinque anni fa, il 20 aprile 2013, proprio alcuni attivisti del “Coordinamento Fermare Green Hill” occuparono lo stabulario del dipartimento di Farmacologia dell’Università Statale di Milano e del CNR, dove si rinchiusero per nove ore e distrussero anni di ricerca su molte malattie del sistema nervoso come il Parkinson, Alzheimer o autismo.
Incredibilmente la DIGOS permise agli occupanti di uscire poi tranquillamente dal dipartimento come se nulla fosse successo portandosi appresso più di 300 cavie. Agli animali che non fu materialmente possibile portare via vennero invece distrutte o scambiate le schede identificative, in modo da renderli inutilizzabili comunque.
Questo evento portò ad uno dei primi movimenti di protesta da parte degli scienziati, che scesero in piazza per difendere la loro professionalità, la ricerca e l’amore per la conoscenza. Proprio in risposta a questi eventi nacquero Pro-Test Italia e Italia Unita per la Corretta Informazione Scientifica, due associazioni italiane di scienziati che tutt’oggi si battono per la difesa della scienza.
Anche in questo caso la maggior parte dei media difesero gli occupanti (anche se in maniera meno netta rispetto al caso Green Hill). Per comprendere la profondità delle ragioni degli animalisti, basta leggere questa interessante intervista su Vice. Alla domanda su quali possono essere le vie alternative alla sperimentazione, la risposta è disarmante quanto aspettata: “No, non lo so. Non ci riguarda. Noi non parliamo del punto di vista scientifico, anche perché nessuno di noi è laureato in materie scientifiche. A queste domande lasciamo rispondere gli esperti, laureati che hanno molta più credibilità di noi”.
La violenza di queste persone ovviamente non termina qui, ma continua con minacce di morte, vandalismo e atti persecutori. Nel 2013 Bologna si riempì di graffiti contro Giulia Corsini, vicepresidente di Pro-Test Italia, mentre Caterina Simonsen, una ragazza affetta da molte malattie rare che si era espressa su Facebook in difesa della sperimentazione animale, fu bersagliata di insulti e minacce di morte. Nel 2014 a Milano l’ALF, Animal Liberation Front, ha appeso dei volantini che prendevano di mira quattro ricercatori i cui studi comprendono anche la sperimentazione animale. I volantini riportavano nome, cognome, indirizzo e telefono privato dei ricercatori e minacce di morte nei loro confronti. Forse vi ricorderete dell’ALF perché nel 2009 hanno dato fuoco ad una voliera del bioparco di Torino, con l’uso di ben 20 molotov, portando alla morte di quaranta uccelli.
Tutto questo ignorando tutte le minacce a carico di pescatori, allevatori e cacciatori (il nome di Valerio Vassallo vi dice qualcosa?).
Lo stupidario animalista si allunga poi con tutte le varie azioni di “liberazione animale” che si sono concluse con la morte degli animali liberati o un danno all’ecosistema, come la recente liberazione di granchi da parte di Licia Colò.
Parlando di ignoranza ecologista non si può dimenticare il blitz di Greenpeace che nel dicembre 2014 ha danneggiato irreparabilmente le celeberrime linee di Nazca, in Perù, per srotolare uno striscione contro il riscaldamento globale. Motivazione nobile senza dubbio, ma esecuzione che dimostra la scarsa attenzione per la cultura, il pressapochismo e la superficialità anche da parte di una associazione che nella sua storia ha combattuto anche battaglie di civiltà molto importanti.
Nel 2013 invece ignoti vandali hanno distrutto un campo di mais “tradizionale” a Vivaro, Pordenone, imbrattandolo con la vernice per rendere il cereale inutilizzabile. Perché, vi starete chiedendo? Perché nella loro ignoranza gli ambientalisti invece di colpire un vicino campo di mais OGM hanno sbagliato obiettivo.
Quello che succede quando si lascia che a parlare di OGM siano persone che non saprebbero distinguere il grano dal riso.