L’allattamento al seno riduce del 25% il rischio di obesità infantile

Due nuovi ricerche del WHO confermano i benefici dell'allattamento

Di allattamento e alimenti sostitutivi ne avevo già parlato qualche tempo fa, in un video nel quale criticavo Chiara Ferragni per l’aver pubblicizzato su Instagram una marca di latte artificiale per neonati.

Oggi ritorniamo sull’argomento per discutere un’interessante ricerca che ha confermato la stretta correlazione tra l’allattamento al seno e la prevenzione dell’obesità infantile.

L’Organizzazione Mondiale della Sanità (WHO, World Health Organization) ha infatti presentato al European Congress on Obesity che si è tenuto quest’anno a Glasgow due studi sull’argomento, basati sui dati ottenuti grazie al programma di monitoraggio Cosi (Childhood Obesity Surveillance initiative) sponsorizzato proprio dal WHO.

Nel primo studio, “Prevalence of severe obesity among primary school children in 21 European countries“, si legge che tra i 13.7 milioni di bambini di età compresa tra i 6 e i 9 anni residenti nei paesi in esame ben 400.000 sono clinicamente obesi, e quindi ad alto rischio di malattie cardiovascolari e metaboliche.

Il secondo studio, “Association between characteristics at birth, breastfeeding and obesity, in 22 countries“, ha preso invece in esame la correlazione tra obesità infantile e allattamento al seno, dimostrando che un neonato alimentato esclusivamente con latte materno per i primi sei mesi di vita ha il 25% di probabilità in meno di diventare obeso in tenera età rispetto ai bambini che non sono mai stati allattati.

Anche se ancora non sono chiari i dettagli del meccanismo che porta a questa correlazione, questo studio conferma la raccomandazione del WHO che per i primi sei mesi di vita tutti i nuovi nati debbano essere esclusivamente allattati al seno, mentre tra i 6 mesi e i due anni è necessario iniziare lo svezzamento iniziando via via a introdurre altri alimenti diminuendo le poppate. L’utilizzo di formule alimentari per neonati non sostituisce infatti alcun modo i benefici dell’allattamento e questi prodotti andrebbero utilizzati solamente quando c’è una condizione clinica riconosciuta che non permette di fare altrimenti.

Allattamento al seno e latte artificiale

Nonostante tutti questi noti benefici, solo il 77% delle donne europee in media allatta al seno, con preoccupanti picchi del 46% in Irlanda e solo del 34% in Francia. Lo studio non prende tuttavia in esame il Regno Unito, dove secondo quanto dichiarato da vari esperti al The Guardian l’81% delle donne allatta subito dopo il parto, ma smette presto quest’abitudine e dopo solo sei settimane solo il 20% delle madri continua l’allattamento.

I motivi che portano a queste basse percentuali sono vari, e comprendono lo scarso supporto alle puerpere da parte dei medici e delle ostetriche, la scarsa informazione sul tema sia delle donne sia, spesso, anche dei professionisti stessi, ma anche molte false credenze, la difficoltà di bilanciare l’allattamento al seno con il lavoro e la difficoltà di allattare in luoghi pubblici.

Tuttavia il latte materno ha delle proprietà che lo rendono insostituibile e prezioso, come ci ricorda anche il nostro Ministero dell Salute. Non solo infatti fornisce al bambino tutti i nutrienti di cui ha bisogno, nella giusta quantità e proporzione, ma lo protegge anche con gli anticorpi della madre nelle prime settimane di vita, ne stimola e rafforza il sistema immunitario e aiuta a prevenire infezioni e allergie. Ma è anche benefico per la madre, che riduce così il rischio di dover affrontare il cancro al seno o alle ovaie. Secondo un articolo pubblicato sulla celebre rivista medica The Lancet, l’allattamento al seno universale salverebbe la vita di 823 000 bambini e 20 000 donne l’anno.

Proprio per sottolineare quanto sia enorme la differenza tra latte artificiale e latte materno, la promozione pubblicitaria delle formule sostitutive è vietata praticamente ovunque nel mondo, Italia compresa (ed è stato il motivo per il quale si è sollevato il polverone con la Ferragni), inoltre anche nel materiale informativo per i medici non può mai essere presentato come superiore o anche solo equivalente al latte materno, né si può suggerire che sia un sostituto.

Per approfondire, Wired Italia ha pubblicato un ottimo articolo a riguardo.

Qualche opinione personale sull’argomento

Come nota personale, è molto esemplificativo il tenore dei commenti che hanno accompagna la pubblicazione di un post Facebook sull’argomento da parte della pagina ufficiale del WHO.

Toccare l’argomento maternità è reso estremamente complesso dal fatto che il parto non è un semplice processo fisiologico che si conclude con l’espulsione del bambino, ma il “diventare mamma” ha sulla donna un impatto ben più profondo dal punto di vista sociale e psicologico, sia per alcuni motivi intrinseci dovuti agli ormoni in circolazione sia a causa dell’enorme pressione alla quale le neomamme sono sottoposte dal resto della società e, in particolare, dalle altre donne che sono pronte a giudicarle in ogni minimo aspetto.

In questo l’allattamento non fa eccezione, in quanto da una parte una donna che allatta in un luogo pubblico è ancora soggetta a frequenti sguardi di disapprovazione, mentre dall’altra una donna che non allatta, per scelta personale o per motivi fisiologici, è soggetta alla pressione da parte di altre mamme che la fanno sentire inadatta o incapace di gestire il proprio figlio.

Il WHO da anni sta portando avanti una campagna volta proprio a sensibilizzare su questo argomento, ma purtroppo ancora molte donne interpretano questo tipo di comunicazione come un’ingerenza indebita in quella che viene considerata una faccenda strettamente personale. Molti commenti su questo post o su altri simili sono infatti di donne che vogliono specificare che non apprezzano queste pressioni e che pensano che questo tipo di comunicazione serva solo a farle sentire più in colpa.

Ma c’è anche chi rifiuta di credere a dei dati che contraddicono le proprie credenze. È più o meno lo stesso tipo di argomento di chi dice che il cambiamento climatico non esiste perché ha nevicato a marzo, che il nonno ha fumato un pacchetto al giorno per tutta la vita ma ha vissuto novant’anni, o che abbiamo preso tutti il morbillo da piccoli e stiamo ancora bene.

In questo caso a parlare è la nostra naturale tendenza alla pigrizia, ma anche la paura del cambiamento: nel momento in cui viene messo in discussione ciò che si è sempre fatto o che è tradizione, c’è sempre una forte e spesso inconscia resistenza culturale da abbattere, che ci impedisce di prendere seriamente in considerazione certi dati. Questo vale specialmente quando si parla di qualcosa che sembra anche controintuitivo: cosa c’entra l’allattamento nei primi sei mesi con l’obesità di un bambino di sei anni? Perché dovrebbero essere cose correlate? Non bastano le verdure e l’attività fisica?

Anche questo argomento, che dal punto di vista scientifico è molto chiaro, richiede quindi un’estrema attenzione dal punto di vista comunicativo.

Personalmente apprezzo il modo di comunicare del WHO, che trovo razionale e inclusivo, ma è indubbio che servano probabilmente del campagne locali più incisive indirizzate sia alle donne che, soprattutto, ai professionisti della salute.

 

 

Contenuto non disponibile
Consenti i cookie cliccando su "Accetta" nel banner"