(Questo articolo può essere considerato la logica conclusione del video La Scienza non ha certezze. Non ho trovato molti riferimenti a riguardo, si tratta per lo più di opinioni personali)
Tutti quanti a scuola abbiamo studiato Galileo e abbiamo scoperto che uno dei fondamenti del metodo scientifico è il rifiuto del principio di autorità: non importa chi sei o quanto sei famoso, o porti le prove di quello che dici o altrimenti quello che dici non ha alcuna valenza scientifica. Inoltre anche l’ultimo arrivato ha il diritto di proporre una visione alternativa del modo in cui funziona l’universo e se la sua teoria è supportata da prove concrete e riesce a spiegare più eventi di quella attualmente accettata allora quest’ultima sarà rimpiazzata dal nuovo paradigma proposto.
Fin qui non credo di avervi detto nulla di nuovo: non importa se sei Aristotele e tutti credono che tu abbia donato la conoscenza suprema agli uomini, se arriva un Galileo qualsiasi con argomentazioni e prove convincenti allora ti fai da parte e riconosci che hai sbagliato.
Questa è la teoria, è ciò che viene insegnato nelle scuole ed è ciò che molti credono sia il succo del metodo scientifico. La venerazione di una persona viene sostituita dalla venerazione dei fatti. Come dice un proverbio noto nella comunità scientifica, normalmente attribuito a Edward Deming: “In God we trust, all the others must bring data”.
Sembrerebbe tutto perfetto, non fosse per il fatto che non solo questo principio non sia praticamente mai stato applicato nella vita vera da parte degli scienziati, ma anche per il fatto che gli stessi scienziati siano visti ora come geniali depositari della conoscenza ora come malvagi demoni maligni, a seconda della moda del momento e di quanto sia fotogenico lo scienziato in questione.
Per quanto riguarda l’aspetto metodologico della ricerca scientifica lascio la parola a un altro articolo che prima o poi pubblicherò.
Ciò che invece voglio approfondire oggi è la figura dell’eroe e dell’anti-eroe nella comunicazione scientifica.
Come in una favola
Sappiamo tutti che l’intreccio tipico di una qualsiasi storia, sia essa un romanzo o la trama di un film, segue degli schemi precisi. C’è un eroe, normalmente buono, ci sono uno o più cattivi da combattere, c’è uno scopo da raggiungere da parte del buono al quale si oppongono i cattivi, e poi ci sono una serie di personaggi secondari che aggiungono colore: il vecchio saggio, l’oracolo, l’infido servitore, il malvagio che si redime e così via.
Se tutto questo si limitasse a film e novelle non ci sarebbe nulla di male, il problema nasce quando questo tipo di narrazione viene portata avanti quando si parla al pubblico di scienza, tecnica e salute.
Succede cioè che i media trasformino in eroi dei personaggi particolarmente adatti al ruolo, senza curarsi della sostanza di ciò che dicono ma basando tutto su una campagna di marketing non diversa da quella per il lancio di un nuovo colossal.
Prendiamo per esempio un caso facile, come quello di uno scienziato tedesco che, con la collaborazione di altri importanti ricercatori, ha elaborato una nuova teoria fisica capace di cambiare completamente il modo in cui i fisici guardano al nostro universo. Si tratta di una teoria estremamente complicata anche per gli addetti ai lavori, molto astratta e senza nessuna connessione apparente con la realtà per il normale uomo di strada. Dal punto di vista privato si tratta di una persona con una profonda conoscenza filosofica, che ha lottato per la pace e contro il governo nazista, ma che non ha fatto nulla di eclatante o di diverso rispetto a tanti altri suoi connazionali.
Viene subito spontaneo chiedersi: perché una casalinga qualsiasi dovrebbe sapere di chi si parla? Per quale motivo un uomo la cui massima aspirazione è sempre stata vincere una gara di rutto libero dovrebbe condividere su Facebook le equazioni di un fisico tedesco?
Per nessun motivo, e infatti non ho mai visto nessun panettiere condividere su Facebook l’equazione di Schrödinger dipendente dal tempo o una fotografia di Max Planck con sotto qualche frase memorabile (che probabilmente non ha mai pronunciato).

Curiosamente invece non esiste persona al mondo che non conosca Albert Einstein e che non sarebbe capace di riconoscere la sua faccia accanto a quella di altri mille fisici tedeschi suoi contemporanei. La maggior parte di queste persone non sa nemmeno perché sia famoso, non ha idea di cosa abbia fatto e non capirebbe nemmeno le prime tre righe di uno dei suoi articoli. Tuttavia tutti conoscono anche la famosa espressione E=mc2, della quale di nuovo ignorano il significato. Si potrebbe dire che è così famoso perché le sue scoperte hanno cambiato la vita di tutti: vero, ma non più di quelle di tanti altri scienziati.
Perché Albert Einstein allora è diventato così noto? Perché è molto più facile parlare di persone invece che di idee. È molto più coinvolgente un faccione sorridente circondata da un’aura di saggezza rispetto a un articolo nel quale vengono spiegate in parole semplici le sue teorie. Ecco creato allora un nuovo personaggio da aggiungere al nostro Pantheon: lo scienziato geniale che combatte per la pace, il nonno saggio che veglia su di noi, l’uomo savio che dall’alto della sua conoscenza può dispensare massime sulla vita, l’universo e tutto quanto. Aggiungi poi qualche aneddoto gentista (tipo che non era bravo in matematica, così che anche l’ultimo dei somari possa identificarsi in lui e credere di essere solo un genio incompreso) ed ecco la ricetta perfetta per un nuovo fenomeno mediatico.
È così che tutto ciò che ha detto (o viene attribuito) a Einstein diventa sempre una massima universale e un esempio di saggezza. Se lo ha detto Einstein deve essere vero, anche se parla del suo colore preferito dei calzini. È il caso del famoso “Vivisezione: nessuno scopo è così alto da giustificare metodi così indegni”. Il fatto che Einstein non stesse parlando della vivisezione ma della bomba atomica è ovviamente irrilevante per la nostra casalinga di Voghera. Il fatto che, anche se fosse vera la citazione, l’opinione di un fisico degli anni ’50 su una pratica medica degli anni 2000 potrebbe essere irrilevante è ovviamente un dettaglio altrettanto trascurabile.
Ma se il meme di Facebook dice che lo ha detto Einstein allora c’è poco da discuterne.
Tutto rientra nella retorica dei buoni contro i cattivi.
Buoni e cattivi
Ci si aspetterebbe che nel mondo della comunicazione scientifica questo tipo di atteggiamento venisse quanto meno scoraggiato. Nessuno si aspetta che Novella 2000 smetta di andare in cerca di personaggi fotogenici che si guadagnino la fiducia della gente, ma che almeno il mondo della ricerca prendesse le distanze da questo fenomeno sì. Qualcuno si è addirittura inventato anche un indice Kardashian per valutare in maniera ironica quanto la fama di uno scienziato sia dovuta alla sua bravura come scienziato e quanto al personaggio che interpreta.
Ovviamente non solo questo non è avvenuto, ma anzi ad Albert Einstein si sono aggiunte un’altra serie di “maschere”, che partendo dalla loro popolarità acquisita come scienziati hanno creato una immagine pubblica di sé da utilizzare per parlare di qualsiasi cosa al mondo. È il caso di Stephen Hawking e Michio Kaku nella comunità internazionale e di Antonino Zichichi, Carlo Rovelli, Umberto Veronesi e per ultimo Roberto Burioni qui in Italia.
È stato così che abbiamo dovuto sorbirci le interminabili farneticazioni di Zichichi sul disegno intelligente e sul quanto sia poco scientifica la teoria dell’evoluzione darwiniana o, al contrario, i monologhi scientisti e anti-clericali di Odifreddi (provate a cercare “matematico italiano contemporaneo” su Google e guardate chi esce in prima pagina).
Mettendo da parte per il momento Roberto Burioni, si tratta di scienziati diventati famosi sebbene quasi nessuno al di fuori degli addetti ai lavori abbia la più pallida idea di cosa abbiano fatto. Soprattutto nel caso di Zichichi e di Veronesi parliamo comunque di persone di altissimo spessore scientifico, intendiamoci, ma che semplicemente sono balzati agli onori della cronaca come idoli da adorare, senza che al pubblico fosse esattamente chiaro a cosa dovessero la loro fama.
Il problema è che la presenza di questi paladini della scienza, nella maggior parte dei casi, porta oggi ad una sterotipizzazione della scienza e della ricerca. Questo perché questi scienziati vengono raramente invitati dai media a parlare delle loro ricerche, ma più comunemente per avere la loro opinione sugli argomenti più disparati. Per questo motivo ritroveremo Odiffredi dove c’è da sparlare della religione e del clero, Zichichi dove c’è bisogno di mostrare lo scienziato devoto che mette la fede prima della ragione, Veronesi (pace all’anima sua) veniva invitato a parlare di veganesimo, vegetariani, diritti degli animali e tutto il resto mentre Carlo Rovelli ha da poco lanciato la sua carriera di anarchico-marxista-anticapitalista.

Se parlassero di questi argomenti a titolo personale non ci sarebbe nulla di male, il problema è che vengono invitati per dare allo spettatore (o al lettore) la sensazione di trovarsi davanti a una fonte autorevole, come se il loro stesso essere scienziati li ponesse una spanna al di sopra di tutti gli altri. Il risultato è che rientriamo di nuovo nella logica dell’eroe e dell’anti-eroe e nella logica del “cercatore di verità assolute”.
Nessuno di loro infatti si permette mai di far notare che la loro opinione è puramente personale e non ha nulla a che fare con il metodo scientifico, ma anzi finiscono per piegare la scienza alle loro idee. A questo punto chi è già d’accordo con la loro idea ha trovato un nuovo eroe da seguire, chi non è d’accordo ha trovato un nemico da combattere. Alla fine quello che rimane allo spettatore (o al lettore) è la sensazione di trovarsi in un ring, in cui vince chi ha la voce più grossa e in cui bisogna scegliere da che parte fare il tifo, che è l’esatto contrario di ciò che uno scienziato dovrebbe trasmettere.
Un nuovo eroe: Roberto Burioni
Per parlare di un argomento di questi giorni, possiamo parlare del caso del prof. Roberto Burioni, professore Ordinario di Microbiologia e Virologia presso l’Università Vita-Salute San Raffaele di Milano e divulgatore scientifico. Burioni è diventato famoso quando nel 2016 ha iniziato a pubblicare dei post su Facebook sull’importanza delle vaccinazioni, in cui sbufalava molte delle falsità che girano sull’argomento. Quei post, a causa del tono franco e schietto e delle solide argomentazioni, hanno cominciato a essere diffusi e presto lo hanno portato a raggiungere una notevole popolarità. La sua immagine pubblica si è poi consolidata in seguito alla partecipazione a un programma televisivo in cui si parlava di vaccini ed era ospite anche Red Ronnie (di nuovo la dialettica buono-cattivo: in che altro modo giustificare altrimenti la presenza di un DJ quando si parla di vaccini?). Così è arrivata anche la fama, un libro pubblicato e oggi quando si parla di vaccini il suo nome è sulla bocca di tutti.
Contrariamente agli altri casi, questa volta però Burioni è balzato agli onori delle cronache proprio per ciò di cui si occupa professionalmente, cioè di vaccini e immunologia. Un’ottima occasione per far capire alle persone come ragiona uno scienziato e come, quando si inizia a parlare logicamente e ci si attiene ai fatti, si riesca a giungere a conclusioni ragionevoli.
Occasione mancata dato che invece, come ci si aspettava, Burioni è diventato il nuovo Superman che combatte contro il male a suon di blastaggi invece che di pugni.
Ecco una discussione tipica che potreste trovare sulla sua pagina Facebook:
Anti-vax: lei è un venduto, i vaccini fanno venire l’autismo!
Burioni: Io sono un professore e ho ragione, lei è un cretino! (Anti-vax nel mentre è stato bannato)
Fan di Burioni: Wooooooooow, lo ha proprio blastato!
Il supereroe Burioni ha messo al tappeto il cattivo anti-vax e il coro dei supporter gli urla quanto è bravo.
Chiediamoci ora: quale è lo scopo della scienza e quale quello della comunicazione scientifica?
Lo scopo della scienza è cercare, in un modo o nell’altro, di trovare la soluzione ad un problema. Esiste una gerarchia precisa all’interno della comunità scientifica, in particolare per quanto riguarda il rapporto professore-studente. Questo perché il trovare una risposta a una domanda non è cosa da poco: richiede intanto la conoscenza approfondita di tutta la letteratura sull’argomento e poi una notevole esperienza sul campo. Per questo motivo l’autorità scientifica di un professore su uno studente è normalmente non discussa.

Sebbene a tutti capiti di sparare una scemenza, normalmente lo studente sa che il professore è più esperto e che ciò che dice deriva da anni di carriera e di duro lavoro, e lo accetta per vero. Questo è un punto fondamentale: lo studente fa un atto di fede in ciò che il professore sta dicendo e non lo mette in discussione. Magari se ha qualche dubbio fa una domanda, confronta quello che sente a lezione con i libri, ma il suo è comunque un atto di fede nel fatto che il corpus delle conoscenze a lui presentate siano onestamente ciò che si sa su quel determinato argomento. L’autorità del professore viene automaticamente riconosciuta dallo studente, non deve essere guadagnata. Al massimo può essere persa se lo studente si rende conto che ciò che dice il professore non corrisponde a ciò che dicono gli altri professori o i libri, ma anche in questo caso è tutto dovuto ad una fiducia nel sistema della ricerca scientifica.
Lo stesso non vale invece quando si fa comunicazione al grande pubblico su temi spinosi. La casalinga di Voghera è bombardata da informazioni contraddittorie che provengono da fonti che si sono guadagnate la sua fiducia, non a cui lei riconosce un ruolo che merita fiducia. Tra un Red Ronnie e un Burioni, quando si parla di vaccini, non è detto che dia fiducia a Burioni solo perché lui è un professore ordinario o uno scienziato. Sceglierà a chi dare fiducia basandosi non tanto sulla forza e sulla solidità delle argomentazioni, ma per lo più sul chi le trasmette l’emozione più forte e sull’empatia. La casalinga di Voghera non sarà mai in grado di accettare razionalmente la differenza tra un post di Burioni, con numeri e fonti, da un post di Red Ronnie con la foto di un bambino malato.
È qui quindi che entra di nuovo in gioco il problema dell’eroe e dell’anti-eroe: chi è chi? Per uno scienziato è facile rispondere: Burioni è il nostro eroe che combatte il male. Ma per l’uomo di strada potrebbe tranquillamente essere il contrario: Burioni potrebbe essere il cattivo che per i suoi loschi interessi porta avanti una campagna che mira ad arricchire Big Pharma.
Ma non finisce qui: in quel momento Burioni è il rappresentante non solo di sé stesso, ma di tutti gli scienziati, che in una inversione di ruoli diventano la casta intoccabile che pretende di avere la verità in tasca. E in effetti è così che si pone: fornisce dei dati e ti dice che sei cretino se non li capisci e non ci credi.
Costringere le persone a scegliere tra due schieramenti ha il grosso svantaggio di rischiare che non scelgano come vorremo noi. Questo modo di fare trasforma la scienza da un’istituzione che merita fiducia a una che pretende fiducia, riduce la scienza alla tifoseria: o sei pro-vax o sei anti-vax, e se sei pro-vax Roberto Burioni deve essere il tuo leader.
Noi scienziati dovremmo rifiutare questo gioco e tirarci fuori. Dovremmo far passare il messaggio che non bisogna scegliere da che parte schierarsi e che non esiste un “con noi o contro di noi”. Dovremmo guadagnarci la fiducia della gente non salendo in cattedra, ma mostrando la nostra umanità. Le “mamme informate”, il “pediatra anti-sistema”, non si pongono su un podio speciale, non salgono in cattedra. Sono le amiche con cui vai a fare la spesa, quelle che ti danno le ricette di cucina e ti parlano direttamente dei tuoi problemi e delle tue paure. Quando fanno lezione, fanno lezione insieme a te, non fanno lezione a te. Questo noi scienziati sembriamo non capirlo: siccome noi abbiamo studiato, allora noi abbiamo ragione e possiamo andare dalle persone a insegnar loro quello che non sanno.
Siamo gli eroi che la scienza merita, ma non quelli di cui la scienza ha bisogno. La scienza non ha bisogni di eroi né di blastaggi: ha bisogno di persone normali che parlino alle persone normali.
RIFERIMENTI